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Il web che verrà.

Tre tecnologie di tendenza.

Le nuove tecnologie del web

4 novembre 2022, ore 16,00

  • 5,4 miliardi di persone collegate e 1,9 miliardi di siti attivi
  • 191 miliardi di e-mail inviate
  • 6 miliardi di ricerche su Google

 Fonte: Internetlivestat.com [AVVERTENZA : Potrebbe causare cefalea]

In questo brulicare di nodi e connessioni, stiamo correndo verso un futuro fatto, manco a dirlo, di inglesismi che non troveranno mai una traduzione. Vediamoli.

1. Quantum computing

Sappiamo che le leggi della fisica meccanica, cioè quelle che sperimentiamo comunemente, non valgono a livello subatomico, dove prendono vita strani fenomeni legati ai quanti, le particelle elementari della materia. Uno di questi è riconducibile al principio di indeterminazione, in base al quale una particella, diciamo un elettrone, può trovarsi in più luoghi contemporaneamente: la sua posizione potrà quindi essere definita soltanto in termini di probabilità.

I computer quantistici non fanno altro (si fa per dire) che sfruttare questi fenomeni per l’elaborazione delle informazioni. Come avvenga il prodigio è materia alquanto complessa, ma basti sapere che l’omologo quantistico del bit, il Qubit, può assumere contemporaneamente due valori, 0 e 1, potendo svolgere un’enorme quantità di operazioni contemporaneamente.

L’intuizione di applicare la teoria dei quanti all’informatica ha quindi aperto oceani di opportunità, in particolare quella di aumentare esponenzialmente capacità e velocità di elaborazione.

Pioniere di questa tecnologia, IBM è stata anche la prima a presentare nel 2019 il suo IBM System One, anche se oggi compete con il Quantum Artificial Intelligence Lab di Google. L’obiettivo? Dotare il loro sistema di IA di superpoteri..

..per risolvere i problemi dell’Umanità che sarebbero altrimenti insormontabili.

Il calcolo quantistico diventerà anche essenziale al contrasto delle minacce informatiche, che richiede capacità di analisi su enormi quantità di dati. Per questo, è già pronta la crittografia quantistica, che, oltre a proteggere le comunicazioni, permette il rilevamento di eventuali intrusioni ostili.

2. Blockchain

La traduzione letterale, “catena di blocchi” dice molto: si tratta di un meccanismo avanzato di gestione di database che archivia i dati in blocchi concatenati e in sequenza cronologica, finalizzato principalmente – ma non solo – a garantire la sicurezza e inalterabilità delle informazioni. Per comprenderne le potenzialità, facciamo un esempio.

In una compravendita immobiliare, sia il venditore che l’acquirente possono registrare le proprie transazioni, ma è sempre necessaria una terza parte fidata – il notaio – per validare l’operazione. La presenza di terzo soggetto, che centralizza il controllo, la rende più complessa e meno sicura, perché esiste un solo punto di vulnerabilità.

La blockchain è un sistema distribuito, quindi, nel nostro caso, potrebbe essere creato un registro per l’acquirente e uno per il venditore, e ogni transazione verrebbe approvata e aggiornata in entrambi i registri contemporaneamente e in tempo reale [sicurezza].

sistema distribuito

Baran, P. (1964). On Distributed Communications, Memorandum RM-3420-PR.

Inoltre nessuna delle parti potrebbe modificare una transazione (o informazione) dopo che è stata registrata, e in caso di errore, verrebbe aggiunto un nuovo record per rettificarlo, rimanendo visibili sia l’errore che la rettifica [trasparenza].

Infine, le transazioni verrebbero registrate solo una volta eliminando pericolosi duplicati [efficienza].

Associare questa tecnologia alle criptovalute è corretto ma riduttivo: qualsiasi tipo di informazione di valore può essere conservata e tracciata in questa catena. La filiera alimentare, ad esempio, necessita di essere monitorata nelle sue diverse fasi, in modo che ciascun soggetto coinvolto – coltivatori, distributori, dettaglianti e persino consumatori- possano reperire e condividere i dati rilevanti, come l’origine degli alimenti, le date e i luoghi delle spedizioni, e persino le temperature di conservazione.

IBM l’ha fatto

3. Progressive Web App (PWA)

Si fa presto a dire App. In realtà ne esistono due tipi, e per capire il terzo è necessario, ai più, un piccolo ragguaglio:

  • Le native sono applicazioni sviluppate appositamente per ciascun sistema operativo, generalmente iOS, Android o entrambi, e rese compatibili con i vari dispositivi mobili. Interagiscono perfettamente con le funzionalità dei device, ad esempio le notifiche, l’accesso alla fotocamera o alla rubrica. Il risultato è un’esperienza d’uso molto confortevole da cellulare e tablet. Inoltre, funzionano anche offline sincronizzandosi alla successiva connessione.

MA. Devono essere scaricate dagli store, non possono essere condivise come si farebbe con un normale sito web e non sono accessibili da desktop. Inoltre, svilupparle è più oneroso e tendenzialmente più complesso.

  •  Le web app sono siti internet ottimizzati per dispositivi mobili e in quanto tali raggiungibili da browser ad un indirizzo specifico, indipendentemente dal sistema operativo utilizzato dal device.

MA. Non funzionano in assenza di connessione.

Diventa ora più chiaro cosa siano le Progressive Web App.

Una combinazione tra normalissime pagine web e app native.

In quanto tali, conservano i vantaggi di un normale sito web:

  • è possibile inoltrarle, sono ricercabili sui motori di ricerca – con evidenti benefici per il marketing – e si aggiornano automaticamente;
  • sono accessibili da qualsiasi dispositivo mobile, da desktop e da qualunque browser.
  • non richiedono download. Basta inserire il loro URL nel motore di ricerca, e al tempo stesso, possono essere aggiunte allo schermo dello smartphone come le App che conosciamo.

 ..E anche i benefici di una App nativa:

  • funzionano anche offline
  • regalano un’esperienza d’uso eccellente.

 Le PWA sono già tra noi, basti pensare ai principali social network. Non a caso 

I brand che utilizzano PWA hanno visto incrementare le visualizzazioni di pagina del 134%.

Fonte: Forbes

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